Donazioni

Un aiuto concreto

Formazione come parola d’ordine

Oggi, in Africa, servono medici locali, che formino a loro volta il personale sanitario locale, in grado di offrire costanza e continuità nelle cure, educando anche le famiglie a un approccio maturo verso le malattie.
Serve sostenere l’imprenditoria locale, che rinforzi l’economia e la società.
Serve che le bambine e le ragazze siano protette e non escluse dalle opportunità educative e professionali.
Serve una formazione sui rischi del cambiamento climatico, creando le opportunità per prevenire i danni ad esso correlati.

Leggi le testimonianze.

Come donare

Il futuro è un diritto. Anche in Benin e nel Togo.

Se vuoi dare il tuo supporto agli Amici di Tanguiéta, alla comunità di Tanguiéta e al
Benin, puoi farlo in diversi modi, scegliendo quello che più risponde alle tue volontà:

Adotta un letto

Un letto di ospedale in Africa può essere la salvezza per qualcuno. Ci sono migliaia di malati che affollano gli ospedali, ma che non si possono permettere il costo della retta. Aiutali tu, scegliendo tra le proposte qui.

Compra un libro

Tanguiéta. Sette giorni con il popolo della brousse di Mauro Tamburini. Per averlo, clicca qui.

5 per Mille

Molti di voi hanno scelto di devolvere alla nostra associazione il 5 per mille della propria dichiarazione dei redditi: una risorsa preziosa che ha contribuito a sostenere la Pediatria di Tanguiéta, dove il numero dei bambini ricoverati aumenta in modo impressionante. Per farlo basta firmare il 1° riquadro in alto a sinistra del modulo e aggiungere il nostro Codice Fiscale:
9 7 0 4 8 3 6 0 1 5 6

Fai una donazione

Offerte, elargizioni, donazioni possono essere versate come descritto qui.

Beneficiari

Sicurezza per la comunità

La nostra esperienza ci racconta che gli sforzi, le donazioni, le attenzioni e il sostegno fisico e morale possono portare risultati concreti: il nostro ospedale si allarga sempre di più, permettendoci di guarire un numero sempre più grande di persone che altrimenti non potrebbero permettersi le cure. Collaboriamo con il personale locale riuscendo così ad accrescere la nostra squadra e ad assicurare la sanità nel territorio.
Per questo motivo, i beneficiari delle nostre donazioni sono medici, pazienti, bambini, la comunità tutta.

Donazioni e risparmio fiscale

Persone fisiche

L’erogazione liberale, fatta a favore dell’Associazione Amici di Tanguiéta, è detraibile dall’imposta, ai sensi e per gli effetti delle vigenti norme fiscali di cui all’art. 83 c1 del D.Lgs 117\2017 (Codice Terzo Settore), per un importo pari al 30% degli oneri sostenuti nel limite massimo di euro 30.000,00 in ciascun periodo di imposta, qualora risultasse più conveniente per il soggetto è possibile optare per la deducibilità dal reddito imponibile nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato ferma restando la non cumulabilità delle agevolazioni.

Persone fisiche (esercenti con partita iva)
Enti e società

L’erogazione liberale, fatta a favore dell’Associazione Amici di Tanguiéta, è deducibile dal reddito imponibile, ai sensi e per gli effetti delle vigenti norme fiscali di cui all’art. 83 c2 del D.Lgs 117\2017 (Codice Terzo Settore), nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato.

La detrazione/deducibilità è consentita, per le erogazioni liberali in denaro, a condizione che il versamento sia eseguito tramite banche o uffici postali ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

Testimonianze

Siamo qui per raccontarci

Sono nato il 10 aprile 1971 a Savé, un piccolissimo villaggio del Benin e sono entrato nell’Ordine Ospedaliero dei Fatebenefratelli di Tanguiéta nel 1994. Lì ho potuto incontrare per la prima volta Fra Fiorenzo di cui avevo già sentito tanto parlare perché tutti conoscono l’opera infaticabile che da tanti anni presta sia all’Ospedale di Tanguiéta che a quello di Afagnan, correndo su e giù dal Benin al Togo secondo le necessità più urgenti. Il che significa coprire una distanza di 700 chilometri su una strada che il più delle volte, soprattutto nel periodo delle piogge, diventa una pista impervia. Ho così avuto occasione di dividere con lui tanti momenti importanti sia per la mia formazione religiosa che per quella professionale e umana.

Cinque anni fa, nell’ottobre 1998, i miei Superiori mi hanno mandato in Italia dove studio per laurearmi in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Milano. Parlo un italiano piuttosto buono, anzi, ormai è la mia terza lingua perché, come forse sapete, in Benin, oltre allo swahili, si parla francese. Se tutto va bene, e sempre secondo la volontà dei miei Superiori, dopo la laurea (sono ormai al 5° anno) ritornerò in Africa per proseguire la specializzazione in Chirurgia Generale. Da tre anni ogni estate torno comunque in Africa per mettermi a disposizione degli Ospedali, questo mi aiuta a fare pratica ma soprattutto ad alleggerire il peso del lavoro delle varie unità operative che ne hanno un bisogno estremo perché laggiù il personale sanitario è scarso e tutti sono obbligati a un super lavoro. Ci sono giorni in cui Fra Fiorenzo resta in sala operatoria fino a notte fonda, facendo anche 15 interventi, ed è subito pronto a ricominciare se si presenta un’urgenza. Il mio futuro è mettere la vita al servizio dei poveri e degli ammalati negli Ospedali, come ho promesso il 25 maggio quando si è celebrata la mia Professione Solenne. Se potrò farlo è grazie a voi, Amici di Tanguiéta, e al vostro programma di erogazione delle Borse di Studio: questo è il modo giusto di fare solidarietà ed è da incoraggiare, se si pensa che il futuro degli Ospedali sarà sempre più gestito da medici africani. “Insegnare a pescare piuttosto che regalare pesce” è la più grande delle carità, e noi Africani ne siamo consapevoli.

Gli Ospedali di Tanguiéta, di Afagnan e il nuovo dispensario di Porgà sono diventati tre punti di riferimento importantissimi per le popolazioni della fascia sub-sahariana e, pur essendo in luoghi diversi e tra loro lontani, hanno in comune problematiche molto simili: perché continuino a funzionare occorrono aiuti! In più serve un’organizzazione gestionale semplice ma funzionale per rendere il servizio efficace e competitivo. La formazione del personale medico-infermeristico, grazie anche alle Borse di Studio, è la risposta giusta per migliorare le condizioni di vita di tanti poveri che altrimenti sarebbero abbandonati a sé stessi oggi più di ieri, perché l’Africa deve fare i conti con il flagello dell’AIDS. Un grazie davvero riconoscente a tutti gli “Amici di Tanguiéta” che mi hanno permesso e mi permettono di continuare a studiare per aiutare la mia gente. Fra Pascal Koamé Ahodegnon, dell’Ordine Ospedaliero dei Fratelli di S. Jean de Dieu, ha emesso la sua Professione Solenne domenica 25 maggio 2003 nella Cappella dell’Ospedale San Giuseppe di Milano attorniato dai famigliari, dal Superiore Generale, dal Responsabile della Delegazione S. Richard Pampuri di Bénin e Togo, dal Provinciale della Provincia Lombardo Veneta e da tanti amici.

Dal marzo 2008 sono Primario di Endoscopia Digestiva e Gastroenterologia presso l’Ospedale S.Giuseppe di Milano, dove giornalmente il mio sguardo si incrocia con quello di Pier Giorgio Romanelli la cui foto è ben visibile nell’atrio. Nel periodo 1993-1994 mi sono recato a più riprese in Benin e Togo per collaborare con Fra Fiorenzo allo sviluppo di un ambulatorio di Endoscopia digestiva negli Ospedali di Tanguiéta e di Afagnan. Quelle occasioni mi hanno permesso di incontrare e apprezzare Fra Pier Giorgio Romanelli al quale mi ha legato una grande, affettuosa amicizia. Quell’esperienza è stata per me fondamentale dal punto di vista umano e professionale, ed ho sempre coltivato l’idea di proseguire tale tipo di collaborazione. All’Ospedale S. Giuseppe mi trovo benissimo e sono certo che si stia avverando il mio sogno di realizzare a Milano la miglior struttura d’eccellenza in Endoscopia Digestiva. Sono convinto che, da lassù, Pier Giorgio mi abbia aiutato a realizzare questo sogno.

Emilio Galli si laurea in medicina e Chirurgia all’Università di Pavia nel 1964. Dopo il servizio militare come ufficiale medico della Scuola Militare Alpina di Aosta, rientra come Assistente universitario presso la clinica chirurgica. Nel 1969 consegue con lode il diploma di specializzazione in chirurgia. Continua la sua attività clinica e di ricerca presso la clinica universitaria pubblicando vari lavori scientifici che gli consentono, nel 1971, di acquisire la libera docenza in Semeiotica Chirurgica. Nel 1972 vince il concorso di aiuto chirurgo presso gli II.OO. Santa Corona, sede di Pietraligure, e nel 1978 assume lo stesso ruolo presso l’Ospedale San Raffaele di Milano. Nel 1988 gli viene conferito il primariato della divisione di chirurgia III, quindi la direzione della clinica Santa Maria di Castellanza, proprietà del San Raffaele.  Socio e consigliere della Associazione Amici di Tanguietà-Onlus, si dedica particolarmente all’organizzazione operativa degli Ospedali Africani. In questi ultimi due anni sta seguendo un programma di accordi tra l’Ospedale di Afagnan e l’Università di Lomé per qualificare Afagnan come Ospedale di Insegnamento, programma sostenuto fattivamente dalla nostra Associazione.

La giornata era stata pesante, anche sotto il profilo psicologico: dopo una lunghissima seduta operatoria alle prese con i soliti “casi all’africana”, mi ero ritagliato mezz’ora di sosta per mangiare un pugno di riso bollito (regolarmente freddo) e due banane. Quando si esce dalla sala operatoria sfiniti da tensione e fatica non si ha quasi mai appetito; mangiare ha più il significato di un rito che non di una reale necessità fisica. I “casi all’africana” quel giorno non erano diversi da quelli dei precedenti e neppure da quelli “all’italiana” se non, a parità di patologia, diversi nella rappresentazione. Spesso, osservando i malati ricoverati, riandavo con la mente agli antichi trattati di patologia chirurgica del primo Novecento che da giovane studente sfogliavo osservando con raccapriccio illustrazioni da museo degli orrori, incredulo che un’ernia avesse quell’aspetto o un gozzo (per lo più bergamasco) arrivasse ad avere le dimensioni di una seconda testa. Ad Afagnan, dove la lingua ufficiale è il francese, qualunque “cosa chirurgica” era etichettata come “masse”: masse abdominal, masse pelvienne, masse du sein, masse du poumon…! Alla richiesta di cosa fosse una “masse” la prima volta i colleghi si erano stretti nelle spalle guardandomi tra il rassegnato e lo sfottente con l’aria di pensare “ma cosa vuole questo chirurgo europeo?”

Così, chirurgo europeo alla mia prima esperienza africana, pensavo di affrontare la “masse” ricorrendo a TAC, Risonanza Magnetica, arteriografia. Ma quale TAC, quale RM? In Africa serve solo buon occhio, esperienza e quel po’ di praticaccia che aiuta a superare gli ostacoli… anche se non tutti e non sempre per la verità! Ricordo bene quando, studente del corso di patologia chirurgica, durante una lezione avevo osato chiedere al professore quale fosse il comportamento da tenere quando non fosse stato possibile perfezionare una diagnosi pre-operatoria, sentendomi rispondere tra lo sdegnato e l’arrogante: “Caro, si apre e si vede!”. Sepolto in qualche cellula dei miei lobi frontali, il ricordo era prepotentemente riemerso: una masse? Si apre e si vede! A che servono TAC o RM? Sì, d’accordo che la pelle è nera, ma quando ci affondi il bisturi il sangue che ne esce è rosso! E allora? Allora niente: si apre e si vede. Chissà, il concetto che gli africani hanno della malattia sta forse alla base della formazione delle “masse”. Una malattia non è tale finché non limita l’attività lavorativa e riduce la “produttività” del paziente che non ricorre al medico finché non è costretto all’inattività. Così le malattie evolvono mettendo seriamente a rischio la possibilità di cura e a volte la stessa sopravvivenza.

Altro terribile ostacolo a una diagnosi quanto meno precoce è il timore reverenziale che gli africani hanno per lo “stregone del villaggio”: nel terzo millennio il loro sciagurato potere è ancora elevatissimo: loro  circoncidono tutti i bambini, loro “interpretano” qualsiasi evento della comunità, loro curano il malato con riti tribali,  “ceremonie”, scarificazioni e voodoo almeno finché l’influenza malevole degli spiriti contrari dimostra di non essere più forte del potere di cui godono questi sciamani. Solo allora al malato “è concesso” l’ospedale, dove quasi sempre giunge in condizioni terminali cosa che, soprattutto nei bambini, spiega l’elevato tasso di mortalità. Quel mattino avevo appunto affrontato una “masse” di dimensioni enormi, più o meno simili alla papaia che mi era stata donata il giorno precedente: quasi una premonizione. La povera donna consunta dal male, che pareva prossima a partorire, dopo l’intervento pareva ancor più scheletrica; solo gli occhi grandi e luminosi esprimevano il sollievo di non vedersi più quel mostruoso addome simile a una gravidanza maligna.

Prima di ritirarmi ero tornato a controllarla: le condizioni stabili e i parametri vitali buoni lasciavano sperare che superasse lo shock chirurgico, la qual cosa mi aveva rasserenato. Per poco. Infatti, appena presa una doccia pregustando la gioia di un po’ di relax, un forte bussare mi richiamò immediatamente all’ordine: urgenza in sala operatoria! Fra Fiorenzo era già lì, chino su un bimbo di forse cinque o sei mesi bellissimo e paffuto che, esangue, respirava a fatica. Mentre ci affannavamo per tentare di infondere in quell’esserino un soffio di vita, mi raccontarono la sua storia. La settimana prima, secondo il rituale d’uso, era stato circonciso dallo stregone del villaggio. Fatalità o un bicchiere di sodabi (distillato casereccio ad alta gradazione alcolica, largamente consumato dalla popolazione,  prodotto in tutti i villaggi con metodi artigianali e materie prime delle più varie) in più deviarono la lama che recise dove non doveva: lentamente ma inesorabilmente il sangue defluiva dalla ferita di quel corpicino e con lui la vita, finché lo stregone, dopo reiterate quanto inutili cerimonie, “concedeva” ai genitori di portarlo in ospedale per esorcizzare gli spiriti maligni che impedivano al sangue di arrestarsi.

Nonostante sforzi disperati l’intento non riuscì neppure a noi “esorcisti dell’ospedale” e quel bimbo tenero e bellissimo ci morì tra le mani. I pipistrelli iniziavano la loro stridente sarabanda sugli alberi di mango fuori dalla mia camera quando, con l’umore più nero della notte africana, andai al refettorio per trangugiare un po’ di minestra, un frutto e, dopo, scambiare due chiacchiere con un amico frate beninese, infermiere professionale dell’Ospedale. A lui raccontai il vortice di emozioni che l’accaduto mi aveva provocato, protestando contro la schiavitù culturale, l’arretratezza e la povertà che avevano causato l’assurda morte di quel bambino. Alla fine, dopo avermi ascoltato silenzioso e accorto, disse: “Hai ragione dottore, anch’io spesso penso quanto sarebbe bello se tutto fosse bello e migliore. Ma occorre pazienza. La mia gente è ancora all’inizio di un cammino che si preannuncia lungo com’è stato il vostro. Siamo poveri come lo erano i vostri bisnonni: ma occorre pazienza. Da noi si dice che anche se non c’è nulla da mangiare bisogna ugualmente accendere il fuoco, metterci sopra la pentola e quando l’acqua bolle buttarci un sasso: perché è sempre meglio sperare in qualcosa che non credere in niente”. Sulle prime non compresi a fondo le sagge parole dell’amico africano ma più tardi, rimasto solo, le ripensai. E nel buio della notte, osservando il cielo tra le chiome degli alti manghi, vidi finalmente brillare all’orizzonte la Croce del Sud.

Massimiliano F. Brambilla nasce a Milano il 3 Giugno 1967. Nel 1992 si laurea con 110 e lode  in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano.  Nel 1997 si specializza in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva presso l’Università di Pavia diplomandosi a pieni voti con lode. Effettua training di perfezionamento come Fellow Assistent negli Stati Uniti (S. Diego University, Stanford University, Kentucky University)  e in Israele. Dal 1997 è Dirigente Medico dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica Ricostruttiva e Senologia degli Istituti Clinici di Perfezionamento. E’ Consulente Tecnico del Tribunale di Milano per Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica. Ha partecipato in qualità di oratore e trainer ad oltre 40 congressi internazionali e 70 nazionali. Ha pubblicato 54 articoli su riviste scientifiche italiane ed estere. Campi di interesse: chirurgia malformativa, chirurgia ricostruttiva della mammella, chirurgia plastica endoscopica, chirurgia estetica, laserchirurgia.

Sono stato 6 volte a Tanguiéta e da due anni faccio il chirurgo plastico ad Afagnan. Gli abbracci, il ben tornato, le lacrime delle suore cui mi sono affezionato… affettuosi convenevoli che da 8 anni si ripetono, affettuosi convenevoli che da 8 anni preludono a frenetiche attività. Ogni volta è così, e non vorrei che fosse altrimenti. Fin dall’arrivo si comincia a lavorare. Visite su visite, camion che ti scaricano i pazienti rossi della terra dell’altipiano. Bisogna decidere chi operare e chi no. Chi è in grado di sostenere un intervento e chi può non farcela. Non è facile.

La sala operatoria di Tanguiétà ha due tavoli operatori che talvolta per necessità, come per magia, si moltiplicano. Una volta ho contato all’opera nella stessa sala 5 tavoli operatori, 8 chirurghi, 3 ferriste e 3 persone di servizio! Ad Afagnan le sale operatorie sono ben 2, 3 tavoli operatori… e la medesima magia. Operare in Africa è diverso. È diverso il clima, diverse le patologie, diversa la risposta dell’organismo, diversi i tempi operatori. Tutto cambia, e non solo per le condizioni precarie. Bisogna modificare la metodica d’intervento per risolvere il problema nel più breve tempo possibile, con il minor numero di interventi – difficilmente il paziente tornerà a farsi controllare – e con il minor tasso di complicanze. Quello che si fa in due o più interventi, a distanza di mesi, lì bisogna farlo in una volta sola.

Ci sono poi patologie che da noi rappresentano la rarità, il “grande caso chirurgico”. Là sono la routine: malformazioni vascolari enormi, malformazioni del cranio di cui ti chiedi la reale vastità, tumori grandi come cavolfiori… A Tanguiéta mi mordevo le dita perché la radiologia non riusciva a chiarirmi le idee sulla reale estensione di patologie strane e bizzarre; ad Afagnan sono fortunatamente accompagnato da due anni da una brillante radiologa con grande esperienza nel campo della radiologia pediatrica. Mi dico: se non lo faccio (o se non oso) che ne sarà? Se hai bisogno in extremis di un chirurgo vascolare o di un neurochirurgo non c’è: lo devi fare tu. O lo sai fare, o fai comunque del tuo meglio. Mi armo di coraggio e parto.

Il mio anestesista di Tanguiétà si chiamava Basil. Non era un vero anestesista, non era neppure un medico, non aveva diploma e non addormentava solo la gente: era anche responsabile della farmacia e proprietario del piccolo bar-dancing che il sabato sera si animava di gente. Non aveva idea della biochimica ma sapeva che se il sangue diventava scuro era brutto segno. Tutti i pazienti che mi ha addormentato, anche i neonati malnutriti, si sono svegliati. E questo era bene. Il mio anestesista di Afagnan si chiama Isidore, anche lui profonde il massimo dell’impegno per affrontare nel miglior modo possibile situazioni spesso non facili. Oltre il 10 % della popolazione è sieropositivo. Quindi in sala operatoria vanno adottate le massime precauzioni per non tagliarsi ed evitare il contatto con materiali biologici e, per finire, devi evitare come la peste le complicanze, in un contesto che invece sembra divertirsi a favorirle. Ma se parti lasciando una complicanza….che disastro! In pochi giorni devi portare a termine il maggior numero di interventi possibile.

Ogni anno macino circa 50 interventi maggiori, per la gran parte malformazioni pediatriche. Talvolta mi sento dire: ma chi te lo fa fare di partire, giocarti un mese di ferie dell’Ospedale, per che cosa poi? Rido, e mi torna la nostalgia. L’Africa, quest’Africa (non quella edulcorata dei safari, delle mega jeep lussuose, dei villaggi vacanze) è un crogiuolo di umanità, di arricchimento personale, talvolta di sofferenza, spesso di grande gioia. Mi è capitato di dover fare dei cesarei: che emozione, per un chirurgo plastico, far nascere un bambino! Un giorno mi hanno recapitato un camion carico di adulti con labbri leporini, una ventina di persone. Una settimana dopo è ripartito. Ma i labbri erano tutti chiusi. Queste sono le vere soddisfazioni della vita.

Al Dottor Fiorenzo, gli ho dato personalmente il nome del “Dr. Mio Fratello”. Questo riassume tutto: è sia il mio medico che mio Fratello. Ci siamo conosciuti all’inizio del 2000 in condizioni di salute molto precarie, per non dire disperate. Ma immediatamente, Dr. mio Fratello ha saputo darmi fiducia nella vita, più per il suo modo di procedere, del tutto Fraterno, che per la cura in sé.

Alla presenza del Dottor Fiorenzo, mi sentivo sempre di fronte a un uomo che ha l’arte di fare cose molto serie, ma senza prendersi sul serio, di un professionista di alto livello, ma che si considera semplicemente uno strumento nelle mani di Dio. Sono sicuro che è questo modo di essere che gli conferisce il rispetto che riceve dai suoi pazienti, dai suoi Confratelli e dai suoi Collaboratori.

Ho conosciuto fra Fiorenzo molto tempo fa, durante la malattia di uno dei miei amici ricoverati ad Afagnan in Togo. L’amico aveva bisogno di cure mediche, ma fra Fiorenzo gli dava anche tutto il suo affetto. Successivamente ho dovuto mandargli una mail a tarda notte per chiedere il suo consiglio e con mia grande sorpresa, ha risposto la stessa notte offrendo la sua disponibilità. In sintesi, fra Fiorenzo ha dato la sua disponibilità per curarlo. Grazie, Signore, per avermi fatto incontrare fra Fiorenzo.

Vorrei unirmi agli amici del nostro caro fra Fiorenzo solo per dirvi cosa penso di lui. Direi semplicemente che fra Fiorenzo è più che un uomo. Ha ricevuto grazie eccezionali e, ancora meglio, sa come usarle per il benessere dei poveri, dei malati e dei disperati.

L’ho conosciuto nel 2003 e da quel momento, nonostante l’età, non è cambiato: ci accoglie sempre con lo stesso dinamismo, la stessa compassione e tanto che, appena dopo la visita, alcuni dei miei pazienti affermano che sono guariti prima ancora di ricevere una cura.

In aggiunta, fra Fiorenzo ha una disponibilità totale ed eccezionale. Sono responsabile di un programma di riabilitazione a Base comunitaria per persone handicappate di una diocesi del Burkina. Ricevo dei casi estremi, per cui i genitori e persino i dottori hanno perso la speranza. Ma ogni volta ho sempre scannerizzato le radiografie e i referti d’esame e li ho inviati alla sua casella di posta elettronica. Fra Fiorenzo umilmente li consulta e mi presenta delle proposte: potrei dire che attraverso di lui Dio ha salvato una dozzina di miei pazienti che non speravano più.

L’ultimo caso risale solo a Febbraio 2014. Un giovane epilettico che ha avuto una crisi in Costa d’Avorio: era caduto da un albero, procurandosi una frattura cervicale. Dopo due mesi di ricovero in un ospedale universitario del luogo, il bambino è stato dimesso anche se non poteva né sedersi né sollevare la testa, perché colpito da tetraplegia. È così che i genitori Burkinesi hanno deciso di tornare al villaggio prima che morisse.

Una volta arrivati in Burkina furono ricoverati in un ospedale CHR, ma la situazione del giovane non era migliorata, al contrario si era aggravata. È stato in queste condizioni che l’ho incontrato. Ero molto stanco, disperato come i genitori. Commosso dalla situazione del giovane, ho contattato fra Fiorenzo condividendo con lui ciò che avevo appena osservato.

Mi ha chiesto di inviare le radio via e-mail. Una settimana dopo mi ha ricontattato fissando un appuntamento. Nella posta mi ha invitato a pregare che, se Dio vuole, nostro fratello sia salvato. Ho trasferito il paziente a Tanguiéta, fra Fiorenzo ha fatto tutto il necessario e Dio ha messo la mano sul giovane. Oggi noi ringraziamo il Signore, perché Abdoulaye che stava sdraiato, non poteva alzarsi, aveva perso il controllo delle urine e l’uso dei suoi quattro arti, ora cammina normalmente.

Fra Fiorenzo ha Dio con lui. Il Signore gli conceda tutte le grazie necessarie per la sua missione.